Fine XV secolo

Annunciazione

“I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento” (Davide, Salmi).

Una citazione biblica per questa piccola e misteriosa tavole, e riportare l’attenzione verso il manto della Vergine, trapunto di stelle: la stella maris è infatti uno dei simboli di Maria, qui di fronte all’Arcangelo Gabriele, in attesa dell’annuncio. Attenzione ai simboli che provengono dal mondo classico, conoscenza dell’ambiente camerte, e in particolare dei lavori di Carlo Crivelli, uniti allo studio delle stampe nordiche che circolavano nel folignate, si sommano in un’opera che segna l’inizio dell’ultima, intensa e unica fase del pittore gualdese del Rinascimento Eccentrico. E non si può fare altro che meravigliarsi.

L'Opera

Il cielo si spande sulla terra, raffigurato da Matteo da Gualdo sul manto blu della Vergine, trapunto di stelle. Nell’iconografia occidentale il blu è il colore di Maria: la particolare tinta è espressione di assenza di peccato – sine labe originali concepta – ma anche rappresentazione del Regno più alto. Sul tessuto immancabilmente s’illumina un firmamento, è la Stella Maris, antichissimo simbolo e attributo mariano per eccellenza. Il pittore conosce bene la simbologia sacra ed ha ben presente il significato dei colori. Li usa esattamente come andrebbero disposti, ma non si limita a questo: il figlio di Pietro di Ser Bernardo inserisce la figura in un contesto spaziale che vuole intenzionalmente esaltare la fantasia surreale, combinando elementi classici, arcaici, ricerca di prospettiva che denota un avvicinamento al Signorelli, compiuto nel figlio Girolamo, e una stilizzazione che lo contraddistingue. L’Annunciazione di Gualdo Tadino è magnetica, è uno dei vertici del gualdese, che sembra invitarci ad avvicinare lo sguardo per cogliere il dettaglio dei capelli, i bordi lavorati del tessuto con i suoi chiaroscuri, le maniche allacciate sugli avambracci. In primo piano, poggiato sulla spalla sinistra e trattenuto con tre dita, un libro dalla sgargiante copertina rossa, colore terreno per eccellenza. Maria è sovente rappresentata con codici e libri, solitamente aperti su pagine leggibili delle sacre scritture, spesso a lei ascrivibili come profezia, come quella di Isaia.
Precedenti esperienze di Annunciazione, non lontane dalla piccola tavola poi conservata presso l’altare della chiesa della Santissima Annunziata, sotto al trittico di Antonio da Fabriano, vanno ricercati nell’Annunciazione della chiesa di Sant’Anna a Sigillo, ancor di più in quella di Giomici, nella chiesa di San Michele Arcangelo, e quindi in quella di Nocera Umbra, presso la chiesa di San Francesco. Tutti esempi dipinti a fresco.

STILLA MARIS

Il manto che drappeggia la Vergine nell’Annunciazione di Gualdo Tadino con i suoi chiaroscuri, il suo impalpabile peso, che lo rende quasi etereo, i suoi avvolgenti toni celesti e Celesti, è cosparso di stelle come fosse un vero firmamento. Il simbolo che vi compare è la Stella Maris: attributo mariano per eccellenza, il nome deriverebbe dalla Stilla Maris della traduzione di San Girolamo del nome ebraico Myriam, con le successive trascrizioni che avrebbero scambiato stilla con stella. San Bernardo di Chiaravalle scriverà: «Se i venti della tentazione crescono, se sei spinto contro gli scogli delle tribolazioni, guarda alla stella, invoca Maria; se sei sballottato sulle onde di orgoglio, ambizione, invidia, rivalità, guarda alla stella, invoca Maria; quando la rabbia o l’avarizia o il desiderio carnale assalgono violentemente la fragile nave della tua anima, guarda la stella, invoca Maria».

L'ARCANGELO

Elegantemente inserita all’interno di un contesto architettonico, tipico espediente del tempo che il pittore vive, l’Annunciazione di Gualdo Tadino sembra rivelare elementi vicinissimi a Matteo, come le arcate che sembrano intersecarsi sul fondo e la bifora che chiude la scena, forse riferimento alla struttura urbana della sua città natale, ancora oggi riscontrabile presso la chiesa di San Francesco. Mosso dalla forza dell’improvviso arrivo, l’Arcangelo Gabriele, con in mano il giglio, simbolo di purezza, lascia che le vesti assecondino il brusco arresto. Meravigliano i detto dell’abito, in particolare le circonvoluzioni del mantello, che sembrano portare lo sguardo verso le ali, attributo angelico per eccellenza e tradizionalmente bianche solo a partire dal XVIII secolo.

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