XVI secolo

Chiesa di Santa Maria delle Grazie

“La storia è e resta per me poesia in massima scala; ben inteso, io non la considero, per così dire, in modo romantico-fantastico, cosa che non porterebbe a niente, ma quale meraviglioso processo di metamorfosi e di nuovo, perennemente nuovo svelamento dello spirito. Mi arresto a questo liminar del mondo e tendo le mie braccia verso l’origine di tutte le cose, e con ciò per me la storia è pura poesia di cui ci si può impadronire con la contemplazione.”

 

Jacob Burckhardt, dalla lettera a Karl Fresenius

 

 

Siamo nella piccola chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie sorta nei primi anni del XVI secolo in un luogo anticamente posto in aperta campagna, fuori dal contesto urbano del castello di San Pellegrino. Il piccolo edificio sacro conserva lacerti d’affresco di XVI secolo, muti testimoni dell’antico aspetto, un tempo completamente avvolta nelle decorazioni, una scultura di Michelangelo Lucesole raffigurante una Madonna delle Grazie, datata al 1556, medesimo autore del tabernacolo e del fonte battesimale della chiesa maggiore di San Pellegrino, e quindi, sulla parete di fondo, il cosiddetto Trittico di San Pellegrino, o di Santa Maria delle Grazie, di Girolamo di Matteo da Gualdo.

Attribuita a Girolamo per la prima volta dal Santi nel 1966, la pala d’altare, datata 1503, appartiene alla prima fase stilistica del figlio di Matteo da Gualdo, quello specifico momento in cui, pur cercando nuove strade espressive, sente ancora forte il legame con il padre; la tendenza al decorativismo è però caratteristica peculiare di Girolamo, che paga il debito di un’importante eredità, anche iconografica, ma che indugia in frequenti piccoli grifi, in dettagliati elementi vegetali, grazie delle vesti, nella ricerca di architetture e nei fondi.

L'Opera

La peculiare attenzione al dettaglio di Girolamo viene confermata nel trittico di San Pellegrino, pur rientrando, questo, nella prima fase stilistica del pittore, quella più vicina a Matteo, più spigolosa e dura. La differenza tra padre e figlio è già evidente nel linguaggio finale, e qui Girolamo sembra legare perfettamente la ricerca della decorazione alla sua professione, abitudine confermata dai suoi strabilianti signa manus, i simboli notarili simili ai nostri sigilli, giacché Girolamo, come il padre e come il figlio Bernardo, è notaio e pittore; nella pala di Santa Maria delle Grazie sono in questo senso emblematici i garofanini, simbolo delle lacrime della Vergine, preconizzanti la Passione, che richiamano in maniera suggestiva i medesimi del padre per il trittico di Coldellanoce di Sassoferrato, datato alla fine degli anni ’80 del Quattrocento, che sicuramente Girolamo ha potuto vedere direttamente in esecuzione.

Girolamo ha un percorso necessariamente differente rispetto a quello paterno: nasce e cresce nella cifra stilistica del Rinascimento Eccentrico e quindi osservando direttamente esempi d’arte in casa sua, ma inizia a dipingere cercando di tradurre un suo linguaggio, inizialmente molto vicino a Matteo e poi, forse dopo la morte del padre, sempre più scostato, allontanandosi anche dalla matrice marchigiana, della quale rimane, se si vuol cercare nel dettaglio, solo l’Agabiti. Girolamo tenderà ai modi del Signorelli, guarderà al Perugino, al Pinturicchio, determinando così una seconda fase definita più quieta, meno incline ai linearismi duri e nervosi dell’ultimo periodo paterno, che pure, in qualche maniera, sembrano collegato alle vicende di vita dei due.

 

Il trittico, ascrivibile dunque alla prima fase del gualdese, raffigura la Vergine con devoti tra San Giacomo e San Pellegrino, guardati dall’alto dall’Eterno e due angeli. Se la parte superiore inizia a risentire di arie più umbre, signorelliane, il registro inferiore è ancora legato all’Eccentrico, con l’allungamento dei corpi rimarcato dalle torsioni talvolta irreali: emblematici i punti in comune con i calzari di San Giacomo e gli stessi decorati nella Pala di Nocera Umbra. Interessante il muro di fondo, che riprende, come la struttura e le colonnine centrali, il Trittico di Casacastalda del padre Matteo. Il viso della Vergine, così come le genti che a lei si rivolgono, ai suoi piedi, ricordano i tipi che Girolamo usa per l’Incontro tra Gioacchino e Anna alla Porta Aurea, versione simile alla pala nocerina del padre ma successiva, oggi conservata presso la Rocca Flea di Gualdo Tadino.

Girolamo sarà più volte a San Pellegrino: oltre alla tavola e alle due decorazioni a lui molto vicine in Santa Maria delle Grazie, raffiguranti San’Antonio abate e San Francesco, suoi gli affreschi della sacrestia nella chiesa dedicata al santo, con un’Incredulità di San Tommaso molto vicina alle decorazioni di Santa Maria di Laverino, in provincia di Macerata ma poco oltre il confine con Nocera Umbra, attribuite allo stesso Girolamo, e quindi una raffigurazione del Santo Pellegrino in controfacciata che sembra opera del suo primissimo periodo. Sempre nella sacrestia, cuore principale dell’antica chiesa di San Pellegrino, si alternano, nella seconda sala, due registri di affreschi. Da sinistra, e dall’alto, attribuibili a Girolamo, o a Matteo e Girolamo, una Madonna col Bambino in trono e San Francesco, una Crocefissione con un’intensa ricerca di sfondo, quel che resta di un San Cristoforo, quindi nella parte inferiore una Maestà molto vicina agli esempi sigillani di Girolamo, una Santissima Trinità e un San Sebastiano dall’elevata cifra stilistica per quel che concerne la ricercatezza anatomica.

 

Il Medioevo è ormai giunto al termine ma il trittico di Santa Maria delle Grazie, così come gli affreschi della chiesa maggiore, ci parla di antiche tradizioni: Girolamo raffigura il protettore del castello, il Santo Pellegrino, ma anche San Giacomo, San Cristoforo, San Sebastiano, rimarcando l’importanza del pellegrinaggio per un borgo un tempo centralissimo nella vita spirituale; sono le stesse antiche mulattiere che diventano strade romane, le antiche vie che assurgono a cammino di pellegrinaggio, è la storia che passa per l’Appennino, vi si ferma e ne esce completamente differente. Girolamo riceve poca attenzione fino alla seconda metà dello scorso secolo ma è interprete del cambiamento artistico e sociale, ed è, assieme al figlio Bernardo, l’erede della bottega paterna, che con loro si spegnerà, salvo alcuni esempi di sconosciuti allievi. E noi, umili spettatori, osserviamo in silenzio i dettagli che accompagnano questa lunga metamorfosi dell’uomo, nella quale siamo pienamente coinvolti.

Non ci resta che osservare la luce che gioca in silenzio.

Il Fiore di Dio

Il Dianthus, in greco “fiore di Dio”, o garofano, inizia a comparire nell’arte occidentale intorno al XIII secolo, solitamente in mano a Gesù o alla Vergine, o ai piedi di quest’ultima, come simbolo della Passione, derivante dalla leggenda secondo la quale le lacrime versate da Maria per il Figlio, al contatto col terreno, si trasformarono proprio in garofanini.
Il dettaglio floreale inserito da Girolamo ha un significato teologico, ma è per noi chiaro riferimento ad un’altra opera paterna, il trittico di Coldellanoce, datato alla fine degli anni ’80 del Quattrocento. Forse Girolamo partecipa all’opera destinata probabilmente ad un facoltoso notaio di Sassoferrato, o forse solamente assiste alla sua creazione. Lo spunto, comunque, e l’attenzione al dettagliato e all’elaborazione del preziosismo, sono caratteristiche che il secondogenito di Matteo da Gualdo manifesta in maniera quasi innata, forse proprio per essere cresciuto a bottega. Chiari esempi ci provengono dalle grazie ornate a guisa di disegno nei suoi atti notarili.
Il dettaglio della pala sanpellegrinese, pur appartenendo a un mondo più rinascimentale, si accorda ancora con il pieno eccentrico paterno: i calzari di San Giacomo richiamano fortemente la pala di Nocera Umbra con l’Incontro fra Gioacchino e Anna alla Porta Aurea.

La Grazia e l'Umiltà

Nel dettaglio del comparto centrale del trittico subito riconoscibili i devoti, il popolo riunito sotto la Madonna delle Grazie, in maniera molto vicina all’iconografia della Madonna della Misericordia. Così come vuole lo schema il gruppo, ai piedi della Vergine, e gerarchicamente raffigurato di dimensioni ridotte, è diviso tra uomini e donne. In primo piano, in ginocchio, forse i committenti. Le fisionomie dei visi risentono fortemente dello stile di Girolamo, piegandosi ad una tipizzazione vicina a quella paterna, eppure ci sembra che in questo frangente il pittore cerchi di cogliere un certo realismo nella ritrattistica: emblematica la giovane donna in secondo piano, verosimilmente non sposata, che porta le braccia al petto in un accorato appello, assecondato dal movimento del capo, reclinato in una sorta di accettazione che ci ricorda un’Annunciazione.
A chiudere la scena la veste, Celeste e Terrena, fregiata in oro e riccamente ornata, che cattura lo sguardo spingendolo verso un pavimento marmoreo sul quale giacciono, sparsi, i garofanini. Grazie vegetali e zoomorfe tipiche di Girolamo, già realizzate nella chiesa di Sant’Anna, a Sigillo, completano i particolari.

Dante, nel XXXIII Canto del Paradiso, attribuisce a San Bernardo una preghiera alla Vergine delle Grazie:
“Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia e a te non ricorre, / sua disïanza vuol volar sanz’ali. / La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fïate / liberamente al dimandar precorre.”

Il Santo Pellegrino

Fulcro della devozione degli abitanti del castello, ma anche di tutti i pellegrini che si avvicendavano nei loro cammini, il San Pellegrino che concede il nome all’attuale abitato, e al quale è dedicata la Festa del Maggio, si appella alla vergine così come fa il popolo riunito ai suoi piedi, umilmente, a capo chino, coperto dal tipico copricapo, la feluca, con le mani al cuore, la borraccia a tracolla, e quindi appena reggendo il suo inconfondibile attributo: il bordone, il bastone che accompagna il viaggio di tutti i pellegrini.

Gallery Fotografica

Video realizzato con il sostegno della Fondazione Perugia nell’ambito del progetto WellTree