1492 – 1498

Incontro fra Gioacchino e Anna alla Porta Aurea e Immacolata Concezione

“L’amore che mosse già l’Eterno Patre / d’avere figliolo per voi recomparare / Concepta fe’ Costei che le fo’ matre / senza peccato et solo nello abbracciare / Fiero Giovachino et Anna solo infuse / la gratia sua et hebbe ad ingenerare”.

Queste le parole che Matteo dipinge nei cartigli della pala nocerina, come quasi un’eco dantesca. Il pittore sigilla il suo ultimo periodo estasiando chi guarda attraverso grafismi estremi, toni metallici, tratti che diremmo robotici, esprimendo nei personaggi una sacra laicità proveniente dai motivi settentrionali che si sposa però col classicismo della scuola padovana. E pure il maestro, rielaborando le arie artistiche che colpiscono l’Appennino, dimostra di aderire, seppur con un sorprendente ed elevato espressionismo, quasi metafisico, a quello che è il pieno Rinascimento: conosce i prototipi giotteschi e i racconti di San Bonaventura e della Legenda Maior. Rivoluziona però il suo metodo dando vita a forme nuove: è il Rinascimento Eccentrico, Umbratile, Appenninico.

L'Opera

La macchina d’altare, commissionata per il duomo di Nocera Umbra da Giovan Battista Olivieri per la cappella dell’Immacolata Concezione, è oggi conservata presso la pinacoteca cittadina, nella chiesa di San Francesco.
La tavola cuspidata è uno degli ultimi lavori dell’artista e vi emerge prepotente un accentuato espressionismo, tanto da risultare quasi metafisico nei volti, che ci risultano al limite del caricaturale. Lascia attoniti il fondo oro, che pare contrastare con le linee dure degli individui ritratti. La pelle quasi metallica degli incarnati, i movimenti “robotici” dei personaggi, graficamente nervosi e incisi, fanno venire in mente suggestioni letterarie moderne, che pure qui convivono con l’abbondante ricerca del classicismo: emblematico il drago dal volto umano, come fosse una maschera, un Maccus delle fabulae atellanae. Opera enigmatica, dell’ultimo periodo, l’ultimo Matteo accostabile all’Abero di Jesse e all’Annunciazione di Gualdo Tadino ma anche alla Madonna col Bambino oggi presso la Walter Art Gallery di Baltimora, negli Stati Uniti, in cui assieme ai modelli antichi e classici, si rintracciano echi di Mantegna e Crivelli.
L’iscrizione sul fianco ricorda il pontificato di Alessandro VI Borgia, la cui figlia Lucrezia probabilmente Matteo incontra in quegli anni a Gualdo, durante una sosta lungo il percorso che l’avrebbe portata a Ferrara, dove sarebbe divenuta la moglie di Alfonso d’Este. Nei cartigli degli angeli il pittore, spiegando il carattere immacolato della concezione, inscrive quella che sembra quasi un’eco dantesca, riportando un poco alla mente la spiegazione di Virgilio al Sommo sulla natura dell’amore:

“L’AMORE CHE MOSSE GIÀ L’ETERNO PATRE
D’AVERE FIGLIOLO PER VOI RECOMPARARE
CONCEPTA FE’ COSTEI CHE LO FO’ MATRE
SENZA PECCATO ET SOLO NELLO ABBRACCIARE
FIERO GIOVACHINO ET ANNA SOLO INFUSE
LA GRATIA SUA ET HEBBE AD INGENERARE”.

DE NATIVITATE MARIAE

L’antefatto dell’incontro tra Gioacchino e Anna alla Porta Aurea di Gerusalemme (She’ar Harahamim), è noto perché narrato nel Protovangelo di Giacomo e nello Pseudo Matteo, ripresi entrambi dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Qui nel dettaglio le preziosissime vesti delle giovani che assistono alla scena: accanto a loro una figura più anziana ci ricorda la donna ammantata di nero nell’omologa scena di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, allegoria del sospetto, quello di Anna riguardo alla morte di Gioacchino prima della loro riconciliazione.

CLASSICISMO

Meraviglioso dettaglio, virtuosismo artistico che svela i panneggi delle vesti, i giochi di luce e di ombre, e ci mette di fronte al grande recupero del classico, dal viso che si dipana da un’entità simile a un drago, non distante da una maschera, fino alle scene rappresentate alla sua destra.

SCOLPITO NEL VENTO

L’angelo reggicartiglio di destra, nella coppia presente sulla sommità della pala di Nocera Umbra, sembra uscito da un apparato musivo d’area bizantina, o da una pittura umbra duecentesca: così leggero nell’oro, aulico, incorporeo, eppure al contempo presente e caratterizzato, vicino a tipologie molto più antiche di quelle della fine del XV secolo, momento in cui viene completato. Non è forse un caso, il richiamo a un certo mondo bizantino, se Matteo da Gualdo può vedere a Nocera opere come quelle del Maestro di Sant’Egidio, di Segna di Bonaventura, la tavoletta del palazzo vescovile, e quindi il grande crocefisso cimabuesco di XIII secolo. Una colta fusione tra Tardogotico, Rinascimento Eccentrico, antiche suggestioni, diretta visione delle opere e anche volontà della committenza, spesso fortemente influente nelle direttive per le realizzazioni.

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