16 APRILE 1477

Madonna col Bambino in trono tra San Francesco e San Sebastiano

“Il giubilo è quella melodia con la quale il cuore effonde quanto non riesce ad esprimere con parole”, scriveva Sant’Agostino.

Nel trittico conservato al Museo Diocesano e Cripta di San Rufino, ma originariamente presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie presso Palazzo di Assisi, non può non farsi notare proprio l’elemento musicale, con l’angelo intento a pizzicare dolcemente le corde, che sembrano effondere una melodia celestiale verso il volto della Vergine e del Bambino, ma anche un poco verso l’osservatore. I tratti tradiscono il periodo più produttivo di Matteo, che coincide con un’importante presenza proprio nella città di San Francesco: la forza espressiva, le fisionomie che iniziano ad allungarsi, la gestualità che comincia ad assumere tratti spigolosi, sebbene ancora mediati dalle note dei vicini esempi folignati, sono anteprima della sua ultima rielaborazione delle forme.

L'Opera

Il trittico conservato presso il Museo Diocesano e Cripta di San Rufino, un tempo presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Palazzo di Assisi, fa parte del periodo assisiate di Matteo, e comunque di quel momento intermedio in cui le dure forme grafiche si accompagnano talvolta ad una morbidezza espressiva più vicina allo stile folignate: lo storico dell’arte prof. Enzo Storelli l’avrebbe infatti accostata a Bartolomeo di Tommaso, già presente a Gualdo attraverso una misteriosa tavola di cui si conserva una documentazione di pagamento, ma della quale oggi nulla si conosce.
L’opera assisiate è stata restaurata tra il 2021 e il 2022 da Christiane Zschiesche e Francesca Canella con il sostegno della Fondazione Perugia, lasciando emergere la data, iscritta sul fondo della tavola centrale, e la firma, Macteus de Gualdo Pinxit, un tempo coperte da una cornice aggiunta nel corso del tempo.
Il prof. Elvio Lunghi ha lasciato intendere una magnifica suggestione, suggerendo come Matteo fosse libero, forse proprio perché aveva entrate economiche che esulavano dalla sola pittura, e quindi provenienti dalla professione notarile, tanto libero da potersi permettere di dipingere come meglio voleva, nello stile che più gli piaceva, e che, diremmo per la mole di opere e commissioni che sembra ricevere, piaceva anche agli altri. Uno stile che viene via via nel tempo accostato a scuole e a maestri differenti ma che in verità non ci appare mai effettivamente dipendente da nessuno. Il gualdese conosce, studia, rielabora, compone come un musicista accostando stili e peculiarità che possono provenire da territori anche distanti, creando un’arte personalissima, e certo mai copia di altri.
Matteo è libero, ed è forse il più grande insegnamento che possiamo trarre.

IL NOME TORNA ALLA LUCE

La firma di Matteo da Gualdo sul fondo del trittico un tempo a Palazzo di Assisi. Anticamente coperta da una cornice aggiunta successivamente, l’iscrizione è stata nuovamente portata alla luce nel 2022, dalle restauratrici Christiane Zschiesche e Francesca Canella. Accanto la data, 1477, conferma le datazioni precedentemente proposte dalla critica storico-artistica.

LA MUSICA

Lo strumento musicale dell’angelo alla sinistra di Maria catalizza l’attenzione: si direbbe un liuto, finemente e sapientemente cesellato. Otre ai girali impressi sulla cassa, proprio sotto alle corde, impressiona la mano dell’angelo, lì per pizzicare la melodia: sorregge quello che oggi chiameremmo plettro, che sguscia tra le falangi quasi impalpabile.

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Video realizzato con il sostegno della Fondazione Perugia nell’ambito del progetto WellTree

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