1471 CIRCA

Madonna col Bambino, Sant’Antonio Abate, San Francesco

“Qui se’ a noi meridiana face / di caritate, e giuso, intra ’ mortali, / se’ di speranza fontana vivace.” Così scriveva Dante nel canto XXXIII del Paradiso riferendosi alla Vergine.

Gli affreschi staccati conservati al Museo Diocesano e Cripta di San Rufino vengono commissionati come edicola votiva dalla Confraternita del Santissimo Sacramento e si inseriscono nel fiorente periodo assisiate di Matteo da Gualdo, lo stesso che lo vede impegnato presso l’Oratorio dei Pellegrini, poco distante, confermando la sua rielaborazione dello stile folignate, di cui sente gli influssi, in particolare di Bartolomeo di Tommaso e di Nicolò di Liberatore detto l’Alunno.

L'Opera

Gli affreschi staccati conservati al Museo Diocesano e Cripta di San Rufino erano probabilmente in origine parte di una nicchia commissionata a Matteo dalla confraternita del Santissimo Sacramento di Assisi, in quel produttivo momento degli anni ’70 del Quattrocento in cui il gualdese è nella terra di San Francesco, e si guadagna l’attenzione e la stima di molti. Matteo è infatti chiamato a decorare a fresco la chiesa di San Paolo, l’Oratorio dei Pellegrini, il palazzo del comune, la Rocca Minore; è richiesta la sua maestria per il trittico commissionato dall’abbazia di San Pietro, per quello voluto dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie e infine per l’unica croce dipinta nota dell’artista. In riferimento al crocefisso, commissionato e ancora oggi conservato presso la chiesa di Santa Maria in Arce, la critica si divide: è stato assegnato al periodo intermedio ma anche ad un Matteo maturo. Suggestivo pensare che la sua ultimissima opera, con i sommovimenti politici che viveva e con i travagli familiari e sociali che sopportava, potesse essere veramente una croce. Una croce d’ispirazione duecentesca ma dalle solite forme allungate che ben conosciamo, come quelle riproposte da Matteo negli affreschi di San Rufino, che però si accompagnano ad uno stile insolitamente dolce. Meravigliosa e attenta la decorazione del trono della Vergine, come rivestito da un prezioso tessuto in boccato, così come le maniche della veste, impreziosite d’un damascato che l’autore sembra conoscere dal vero. Gesù Bambino, con il corallo al collo, simbolo della Passione, cerca il contatto con la madre in un gesto ricorrere nell’arte, che qui incornicia l’edicola nella sua tenerezza e soavità, pur restando centrale lo sguardo di Maria rivolto all’osservatore, ma come se si fosse appena staccato dal Figlio, e come se lo avesse fatto con la nuova, dolorosa consapevolezza di quel che sarebbe accaduto, ricordandoci il più che noto Stabat Mater di Jacopone da Todi

IL CORALLO

Tradizionalmente considerato avere proprietà apotropaiche fin dall’Antichità, tanto che nell’Antica Roma veniva fatto indossare ai bambini, il corallo diventa nel Medioevo simbolo del dono salvifico di Cristo, anche per la somiglianza dei rametti coi vasi sanguigni, quindi della Passione, della Resurrezione, e della doppia natura umana e divina del Salvatore.

IL PADRE DEL MONACHESIMO

Sant’Antonio Abate è considerato il padre del monachesimo ma la diffusione della sua immagine così come la raffigura Matteo s’intensifica soprattutto nel Medioevo centrale, per opera dell’ordine degli Ospedalieri Antoniani, che ne sigillano così l’iconografia: il santo è generalmente ritratto avanti negli anni, con un campanello, peculiarità proprio degli Antoniani, con un maiale, il cui grasso era utile per medicamenti, e quindi un bastone da pellegrino che però termina in un tau, lo stesso simbolo che gli Antoniani portavano cucito, in riferimento a thauma, in greco antico stupore, meraviglia, prodigio.

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Video realizzato con il sostegno della Fondazione Perugia nell’ambito del progetto WellTree

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