21 LUGLIO 1488 (1493)

Madonna di Colle Aprico

«Ut pictura poësis» – Orazio
Staccato nel 1911 dalla casa di Felicissimo Cellerani, l’affresco è oggi conservato presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, a Perugia, ma momentaneamente in prestito presso la Pinacoteca Civica Rocca Flea di Gualdo Tadino, e rappresenta una meravigliosa Madonna in trono con Bambino e Angeli. Una finissima architettura classicheggiante, imponente e monumentale nella sua semplicità, appena impreziosita da grottesche terminanti a garofanini – per nulla distanti da quelli che decorano il contemporaneo Trittico di Coldellanoce -, sorregge la Vergine col Bambino Stante e Benedicente. Un pronunciato allungamento e un sensibile hanchement piegano la figura della Madonna verso il coro d’angeli dal sapore alunnesco, in qualche modo echeggiante la tavola di Casacastalda. Completa il tutto il drappo dello schienale, che sembra un tutt’uno col seggio, lavorato e prezioso nel tessuto: ci ricorda Crivelli e i tappeti dalla trama orientale, turca, pure testimonianza di un vivo contatto commerciale lungo l’Adriatico.
Sulla volta della nicchia il Padre Eterno, a sinistra San Sebastiano e a destra Sant’Antonio Abate. Sulla datazione di questo lavoro ci si è molto espressi in passato, per l’interpretazione delle ultime cifre segnate da Matteo sul fondo, non più completamente leggibili: “DEPICTA FUIT SUB AN(N)O D(OMI)NI MCCCCLXXX(?)III XXI IULI”. L’opera potrebbe essere quindi stata completata nel 1488 (Todini) o nel 1493.

L'Opera

Una monumentale, elegantissima e preziosa prova del Maestro del Rinascimento Eccentrico. Matteo da Gualdo, nella sua maturità, sembra riuscire a sommare più suggestioni, più influssi, rielaborandoli in maniera personalissima, e quindi regalandoci uno straordinario esempio di Tardogotico d’Appennino. La Vergine, appena seduta sullo scanno, è piegata in un goticissimo e sinuoso movimento del corpo, ritmico, geometrico eppure quasi musicale, quasi fosse direttamente ispirata alle statue lignee che da tempo circolavano nella terra del pittore: si vedano i bellissimi esempi del cosiddetto Maestro dei Magi, Fra’ Giovanni di Bartolomeo, scultore fabrianese della seconda metà del XIV secolo in stretto contatto con la scuola pittorica di Allegretto Nuzi. La Vergine, dal pronunciato hanchement, matematicamente studiato, è abbigliata d’un manto celeste stellato bordato d’oro: il tessuto si piega avvolgendo appena le forme, si plasma invece attraverso una ombrata plasticità, nervosa e spezzata, geometrica, che ci ricorda la primissima opera del gualdese, il trittico di Santa Margherita, presso la Pinacoteca Civica Rocca Flea di Gualdo Tadino. Linee tracciate quasi con la sgorbia (Sara G. Spurny), come ad evocare certi disegni d’ambito tedesco veicolati dalle stampe folignati. Il volto di Maria è emblematico dell’ultimo periodo di Matteo da Gualdo: accentuato allungamento e pallido candore dai metallici riflessi, ripresi dal velo che poggia sul capo, da confrontare col medesimo esempio della pala di Nocera Umbra ma pure con il San Sebastiano presso la chiesa di San Rocco di Gualdo Tadino. Il tessuto concede ai capelli di fuoriuscire lasciandoli liberi di danzare, ritmati in un movimento ritorto anch’esso dal profondo gusto arcaico. C’è, in quest’opera e nelle ultime del Maestro, un assommarsi di più influenze artistiche: Bartolomeo di Tommaso, Niccolò Alunno, Carlo Crivelli.
Il trono, dalla pulita linea, è pienamente rinascimentale. Un’architettura antica, impreziosita da una modanatura a gola rovescia decorata a kyma ionico, identica a quella usata per l’Oratorio dei Pellegrini di Assisi molti anni prima. Il monumento è completato da un arazzo a rabeschi, prezioso manufatto orientaleggiante, e da garofanini, simbolo delle lacrime di Maria, prefiguranti la Passione.

METALLICI RIFLESSI

Il viso malinconico di Maria, psicologicamente caratterizzato, sembra realizzato di fine porcellana. Il pallido incarnato anticipa la pala di Nocera Umbra, così come l’espediente del velo che si poggia sul capo. Il tessuto, dai metallici e cangianti riflessi, si piega su sé stesso spezzandosi in linee dure, dall’accentuato linearismo. Una geometrizzazione cara a Matteo da Gualdo, eco dei profili dell’Appennino. Suggestivo il dettaglio dei capelli, appena lasciati liberi sulla fronte. Le ciocche scendono, si avvolgono, danzano, in un gotico ritmo di svolazzi e grazie che mescolano pittura, scrittura e poesia.

LA FIRMA

MACTEVS DE GUALDO PI(N)XIT

La firma dell’autore in un finto cartiglio svolazzante, sul fondo del trono della Madonna di Colle Aprico. Matteo non è nuovo al particolare uso delle lettere, lo si nota anche nel Trittico di Santa Margherita, con una particolare versione della parola “Gualdo” che diviene quasi un simbolo araldico, un’emblema. In questa occasione, il pittore ci regala un particolare ed inusuale nesso delle lettere “G” e “U”.

IL CORO D'ANGELI

Abbigliati così come si conviene al tempo, il coro d’angeli della Madonna di Colle Aprico si protendono verso la Vergine quasi uscendo dallo scranno, assecondando la sommità dell’arco della nicchia. Vicini agli omologhi dipinti per la Madonna della Misericordia presso Villa Scirca di Sigillo, risentono dell’influenza dell’Alunno: la composizione e l’accostamento dei colori rimandano comunque al clima folignate, ricordando anche la Maestà Bella a Carpello di Foligno, dipinta da Pierantonio Mezzastris nella seconda metà del XV secolo.

Gallery Fotografica

Video realizzato con il sostegno della Fondazione Perugia nell’ambito del progetto WellTree