Fine anni '70, inizi anni '80 del XV secolo
San Giovanni Battista e San Michele Arcangelo
“Già l’aura messaggera erasi desta | ad annunziar che se ne vien l’aurora: | ella intanto s’adorna, e l’aurea testa | di rose colte in paradiso infiora […]”.
Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, Canto III
Così bene descrivono le parole del Tasso quel particolare momento dell’alba, o del crepuscolo, che è un effluvio di luce dorata, talvolta rosea, purpurea o anche ramata, riflessa dalle nuvole, o più generalmente dal pulviscolo atmosferico. Quest’Aurora, mitica presenza ancestrale, dall’incerta radice richiamante l’oro – da aurum – pare da sempre accompagnare chi arriva fin sulla sommità del castello di Grello, nella collina gualdese che guarda verso l’assisiate e il perugino. Una lunga storia accompagna l’abitato: orgogliosamente libero, dalle antichissime radici, conserva ancora oggi l’assetto di un antico fortilizio, ben protetto grazie alla sua privilegiata posizione. Quella che oggi è la chiesa di San Giovanni Battista, all’epoca di Matteo dà verosimilmente anche il nome all’abitato: nei documenti, come in uno risalente al 18 settembre 1475, si cita il “Castro Sancti Joannis alias Grilli”, ovvero il borgo di San Giovanni o Grello. Matteo dipinge all’interno della chiesa nonostante dalle documentazioni emerga come questa fosse piuttosto povera in quella seconda metà di XV secolo, priva di rendite, tanto da non avere nemmeno un proprio rettore: l’origine degli affreschi va allora attribuita a singole iniziative, elargizioni, lasciti degli abitanti o particolari occasioni create da nobiluomini locali. Ex voto che un tempo dovevano decorare l’intero spazio: la chiesa originaria, o almeno quella che il pittore deve vedere, è poco più grande dello spazio che oggi è ricompreso nella nicchia di fondo, dov’è allocato l’altare. Una semplice stanza voltata a botte, illuminata da due monofore laterali (di cui una sola resta leggibile), meravigliava chi vi entrava per il vivo e animato colore che ricopriva l’intonaco. Immagini sacre che quasi si animavano nella penombra, mosse com’erano dalle danzanti luci delle candele. Quando Matteo è chiamato a lavorare a Grello lo spazio è già in parte decorato: degna di nota, e notevole, la parete di fondo, anticamente attribuita al Maestro di Grello ma oggi ampiamente riconosciuta come opera dell’ignoto Maestro di Fossato, già attivo presso la chiesetta della Piaggiola di Fossato di Vico insieme ad Ottaviano Nelli, col quale è a Foligno, a Palazzo Trinci, dove lascia un San Michele Arcangelo dalla chiarissima matrice gotica, quindi a Gubbio, in San Martino, e nel gualdese, autore del Polittico di San Facondino, oggi alla Rocca Flea, e della Madonna di Loreto presso la chiesa di San Pellegrino. Dello stesso maestro senza nome anche il quadro della parete settentrionale, che lambisce le opere di Matteo, raffigurante una Santa Caterina d’Alessandria. Il Maestro del Rinascimento Eccentrico s’impegna ad affrescare parte della volta che guarda a settentrione, raffigurandovi San Giovanni Battista, al quale è intitolata la stessa chiesa, e San Michele Arcangelo, patrono di Gualdo Tadino insieme a Beato Angelo di Casale e figura onnipresente nel territorio appenninico, per la forte e influente presenza longobarda. Suo, probabilmente, anche un Sant’Amico da Rambona nel quadro successivo. Un lavoro duro, quello della decorazione su di una porzione di parete curva e così in alto, soprattutto se cerchiamo di immaginare le condizioni di lavoro del tempo. Le figure, affusolate e oblunghe, raccontano un Matteo ormai maturo, che si avvicina alla sua ultima fase: i corpi sono assottigliati, gli arti sono profondamente segnati dalle fasce muscolari (si veda San Giovanni), il collo di entrambe le figure si fa sottile, richiamando alla memoria quel che disse Federico Zeri, aggettivando il gualdese come “il Modigliani del Medioevo”.
Un sentito ringraziamento a Sofia Raggi – SC Photographers per le immagini.
Il restauro dell’affresco, finanziato dal Lions Club di Gualdo Tadino, è stato portato a termine da Massimiliano Barberini.